Il management lavorava per raggiungere un giudizio «pre-determinato con intimidazioni verso altri partecipanti al voto». Questa una delle accuse all’agenzia dall’ex vicepresident Harrington
Come riportato ieri da Finanza & Mercati, la Sec americana ha ricevuto in data 8 agosto un documento scottante da William J. Harrington, analista di Moody’s dal 1999 al 2010. Un’ottantina di pagine in cui l’ex senior vicepresident della divisione prodotti derivati dell’agenzia di rating svela i meccanismi «distorti» con cui Moody’s arriva a dare i suoi importanti giudizi sull’affidabilità di Stati e società. Un sistema in parte noto, di cui sospettavano in tanti, ma che non aveva ancora avuto conferme così ampie da una fonte interna: conflitti d’interesse, management implicato fino ai più alti livelli, analisti non ascoltati o, addirittura, minacciati. E via peggiorando di rivelazione in rivelazione. Ecco gli stralci più significativi del documento-denuncia inviato all’Authority americana.
Il conflitto d’interessi
«Il notevole conflitto d’interessi con cui si confrontano i dipendenti di Moody’s – scrive Harrington – è quello che nasce semplicemente dall’essere dipendenti della società. Questo conflitto d’interessi permea tutti i livelli, dagli analisti appena assunti fino al chairman e chief executive di Moody’s Corporation. Comunque, la natura del conflitto d’interesse differisce secondo il livello della scala gerarchica». Per l’ex senior vicepresident, quindi, gli ultimi arrivati possono riuscire a rispettare la deontologia nello svolgimento delle proprie responsabilità all’interno del comitato dell’agenzia, almeno fino a quando restano nelle retrovie (la decisione finale, in ogni caso, non spetterà a loro). Il top management, invece, se da una parte si dovrebbe impegnare a preservare l’indipendenza dei procedimenti di valutazione, dall’altra riceve una remunerazione crescente con l’aumentare del business della stessa società. Insomma, «il conflitto d’interesse in corso, e irrisolto, gioca un ruolo profondo nella formazione delle opinioni di Moody’s».
La bolla immobiliare
«Moody’s sostiene che i comitati che si occupavano di mutui (i residential mortgage backed security, Rmbs) non potevano avere previsto il collasso dei prezzi immobiliari nelle loro opinioni, visto che le dimensioni del crollo erano senza precedenti e imprevedibili. Questa giustificazione razionale è tanto poco persuasiva, quanto falsa, e cerca di fare credere che Moody’s e gli altri attori finanziari non stessero progettando e preparando le comunicazioni che hanno portato poi i prezzi del real estate a livelli insostenibili». Inoltre, «Mark Zandi, il mio ex collega al gruppo Wefa, ha riferito di aver sopportato durissime critiche dopo che Moody’s ha acquistato la sua società di previsioni economiche nel 2005. Secondo Mark, alcune delle critiche furono attacchi personali contro di lui. Il management si era detto risentito dalle sue previsioni sull’economia americana e sul mercato immobiliare, che non davano sostegno ai modelli riferiti agli Rmbs, che volevano i prezzi delle case crescere all’infinito del 4% l’anno».
Contano solo i profitti
«Il board di Moody’s Corporation non esercita alcuna sorveglianza sull’indipendenza degli analisti e non c’è alcun incentivo in questa direzione. Moody’s ha registrato risultati positivi in ogni singolo trimestre a partire dal 2000. I guadagni scesero con lo scoppio della crisi finanziaria, ma rimasero comunque positivi. La lezione che ne ha tratto il management di Moody’s e quello della holding in relazione ai ruoli giocati nella crisi finanziaria e in merito alle sue conseguenze, è che potranno sempre cavarsela e restare in ogni caso intoccabili. La realizzazione di molte delle regole proposte dalla Sec sarebbe un’ulteriore conferma che le cose funzionano in questo modo».
Le pressioni sugli analisti
«Nell’esperienza di chi scrive, i comitati che hanno diffuso opinioni sui Cdo a partire dal 2005 fino alla metà del 2006 sono degenerati sempre di più in talking shops (luoghi in cui si dibatte a lungo senza prendere alcuna decisione, ndr). In questi casi, i membri si sentivano liberi di discutere gli aspetti negativi dei Cdo, ma sentivano anche tutta la pressione esercitata dal management di chiudere un occhio su questi aspetti al momento della votazione». Tra l’altro, per Harrington, Moody’s ha tollerato che i manager della divisione derivati spingessero in molti casi gli analisti perché arrivassero a stilare determinati rating. Invece di assicurare l’indipendenza a questi gruppi di lavoro, insomma, i capi avrebbero cercato di far pesare in modo considerevole il proprio giudizio. «Purtroppo – si legge ancora nel documento – chi scrive ha partecipato a numerosi incontri in cui il management ha lavorato per il raggiungimento di un risultato pre-determinato attraverso intimidazioni nei confronti di altri partecipanti al voto».
Risultato garantito
L’ex senior vicepresident non si limita ai discorsi generali. In un passaggio della sua ricostruzione, infatti, ricorda il caso di Athilon Asset Corporation e Athilon Capital Corporation, risalente al 2004. Stando a quanto scrive, in quell’occasione il comitato per il rating si era espresso in maniera piuttosto critica sulla società. Solo in seguito all’insistenza da parte di alcuni manager di Moody’s e a una riunione fiume, durata ben quattro ore, il rating desiderato dalla società fu garantito dal comitato «per varie ragioni, non collegate al credito di Athilon». «Un membro della commissione – scrive Harrington – ha parlato di intimidazioni dal manager e un altro si è sentito smarrito per l’insistenza dei capi».